A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto l’avvio delle procedure di cui agli articoli 4, 5 e 24, della legge 23 luglio 1991, n. 223 è precluso per 60 giorni e nel medesimo periodo sono sospese le procedure pendenti avviate successivamente alla data del 23 febbraio 2020. Sino alla scadenza del suddetto termine, il datore di lavoro, indipendentemente dal numero dei dipendenti, non può recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’articolo 3, della legge 15 luglio 1966, n. 604.
Note: Per due mesi le aziende non potranno licenziare un dipendente per motivi economici, cioè per giustificato motivo oggettivo. Il provvedimento sarà vietato anche in forma collettiva. In entrambi i casi, si parla di provvedimenti attuati dopo il 23 febbraio 2020, cioè dal giorno in cui è scoppiata in Italia l’emergenza coronavirus. Il divieto è contenuto nel decreto Cura Italia presentato ieri dal Governo.
Dall’entrata in vigore del decreto, dunque, non può essere né avviata né conclusa alcuna procedura di licenziamento collettivo o individuale avviata dopo il 23 febbraio se non per motivi disciplinari, cioè per giusta causa, o giustificato motivo soggettivo.
Un capitolo a parte merita il licenziamento per superamento del periodo di comporto ( cfr malattia a causa del coronavirus), in quanto necessità di valutazioni anche sullo stato morbile.
Significa che, nel caso in cui il procedimento abbia avuto inizio dopo tale data, deve restare
congelato per 60 giorni anche nel caso in cui la motivazione economica sia legata agli effetti negativi scaturiti dall’emergenza Covid-19, il che sembrerebbe lasciare intendere che il loro termine prenderà a correre nuovamente allo scadere del sessantesimo giorno. E’ evidente la formulazione infelice della norma.
La violazione di tale divieto potrebbe determinare la nullità del licenziamento.
Come noto, un licenziamento deve essere impugnato stragiudizialmente entro 60 giorni dalla comunicazione di esso; nei successivi 180 deve essere depositato il conseguente ricorso giudiziale.
Ebbene, l’art 46 non sembra sospendere tali termini, che dunque rimangono confermati.